Un uomo che non sapeva correre inventò una religione per la quale correre era peccato, con l'intima speranza di sentirsi finalmente adeguato.
La religione ebbe presto molti adepti: storpi, paralitici, ex atleti che avevano appeso le scarpe al chiodo, gente ossessionata dalla forma fisica che soffriva della propria ossessione, e in generale tutte le persone che non avevano con la corsa un buon rapporto. La religione si diffuse ovunque al punto che chi amava correre iniziò ad essere perseguitato. La loro naturale passione e la serenità con cui affrontavano il coinvolgimento nello sport, era un affronto intollerabile per chi vedeva nella corsa l'immagine del proprio fallimento.
Col tempo, chi amava correre iniziò a star male a causa delle condanne morali e lo stigma sociale, e il disagio fu interpretato come il sintomo che correre fosse un atto contro natura.
Ecco perché, in molti casi, non è della religione che abbiamo bisogno ma di una buona psicoterapia.
O, semplicemente, di correre.
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