il giorno che non sono morto

Conosco bene la tristezza. La percepisco nella gente, la assorbo e la trasformo. C'è una tristezza che appartiene all'ordine delle cose, figlia dei lutti e delle assenze. C'è la tristezza dei poeti, la malinconia, che colora di dolcezza le notti di solitudine. Poi c'è la tristezza che ho imparato a sopportare, quella che insinua il dubbio che vivere non abbia senso, che ti costringe a fare amicizia con la morte.
Conosco bene la tristezza ed è per pura fortuna che io non abbia conosciuto anche la morte, come il giorno d'estate in cui decisi di scavalcare il parapetto del ponte sopra il fiume.
Fu piuttosto semplice, prima un piede e poi l'altro, e in un tempo ridicolo stavo già fissando il vuoto. 
Ricordo di aver misurato la distanza dal fiume ritenendola sufficiente, poi mi sono sporto in avanti chiudendo gli occhi.
Gli eventi che seguirono furono piuttosto rapidi.
D'improvviso avvertii un boato e una serie di suoni d'impatto provenire dalla strada. Persi l'equilibrio e una mano scivolò dalla presa mentre cercavo con l'altra di trattenermi. Tremai per il tempo sufficiente a capire che avevo paura.
Feci leva con tutte le forze per afferrare la balaustra con entrambe le mani e tentare di rimettermi in piedi.
Una volta riacquistato l'equilibrio, attesi che la testa smettesse di girare e, dopo aver scavalcato il parapetto verso la strada, cercai di capire cosa fosse accaduto.
Trattenni a stento le risa quando mi accorsi della colonna di auto in fila lungo il ponte, coinvolte in un tamponamento a catena. La gente era uscita dalle vetture e si guardava intorno con incredulità mentre due sconosciuti mi venivano incontro con sguardi preoccupati.

Ricordo che girai lestamente i tacchi e nel dileguarmi pronunciai le seguenti parole "In questa città non ci si può nemmeno suicidare in pace".


Questa esperienza mi ha insegnato tre cose in particolare. 
La prima è che l'interlocutore migliore della tristezza non è un ponte ma l'ironia. 
La seconda è che la voglia di vivere torna non appena ci si è buttati.


La terza è che se vedete un tizio sospeso sopra un ponte, prima cercate parcheggio.


4 commenti:

  1. Bel testo e assai apprezzabile il risvolto.
    Lo interpreto però nel senso che gli incidenti hanno la loro funzione e dato che senza uno di quelli, non si sarebbe innescata in te l'ironia e neanche la paura di lasciarsi andare, il parcheggio sarebbe opportuno NON cercarlo, no?
    Cercherò di ricordarmelo la prossima volta che mi capiterà di notare qualcuno sospeso su di un ponte, snobberò le strisce d'ogni colore.
    Potrebbe essere un'ottima strategia.
    K.

    RispondiElimina
  2. Bella riflessione K. Mi ha fatto piacere leggerla.
    Io di solito se vedo qualcuno che intende buttarsi, accosto ad un lato. Poi se non si butta lo metto sotto con l'auto.

    RispondiElimina
  3. Sì e un'ottima idea,
    e mi permetto di consigliartene un'altra, che utilizzo alla bisogna:
    io di solito, quando vedo qualcuno che intende buttarsi, aziono le quattro frecce (nel linguaggio comune, tu m'insegni, significa torno subito) e mi butto con lui/lei.
    Si sa mai, dovessi appunto tornare, come capita, ritroverei l'auto.
    K.

    RispondiElimina
  4. "Conosco bene la tristezza. La percepisco nella gente, la assorbo e la trasformo. C'è una tristezza che appartiene all'ordine delle cose, figlia dei lutti e delle assenze".
    Sono parole che ho letto nei suoi occhi, visto nei suoi gesti e colto nella sua necessità di volersi esprimere,sempre. Sono parole che in qualche modo appartengono anche a me e sono queste stesse parole, nella sostanza che nascondo,a renderla quello che è.
    Mi ha insegnato molto senza accorgersene e per questo,al termine di questi mesi, sento di doverle dire
    Grazie.
    Cosa le auguro per il futuro?!
    Una cosa sola..
    ..Si ricordi di uscire!
    V.

    RispondiElimina