Sottotitolo: una struggente storia d'amore ai tempi della paroxetina cloridrato. Come parlare di figli con un prete o del significato della morte con un ragazzino di vent'anni, se capite cosa voglio dire.
Meteoropatia, disturbo bipolare, sindrome depressivo reattiva e manie ossessivo compulsive. Questo è quanto emerge dalle diagnosi degli psichiatri che ho incontrato nel corso della mia vita. Psichiatri: professionisti del disturbo mentale che, dopo averti accolto nel loro studio mentre sei in preda alla più lacrimevole disperazione con l'anima affranta che si avviluppa intorno ad un fazzolettino di vergogna per mostrarsi nella più nuda debolezza con occhi offuscati da lacrime zampillanti che si sollevano lentamente dal pavimento nella speranza di incontrare sguardi di autentica empatia, ti osservano con espressioni vacue che forniscono prospettive inedite al significato della parola compassione mentre le loro bocche annoiate dai tuoi psicodrammi pronunciano parole come "prenda queste pasticche" e "ci rivediamo il mese prossimo" che si può supporre costituiscano il massimo dell' articolazione linguistica che una laurea in psichiatria sia in grado di fornirvi.
Adesso potete riprendere fiato.
Il Kilimangiaro è alto 5895 metri. Se il Kilimangiaro vi sembra leggermente fuori tema significa che vi è rimasto sufficiente ossigeno nel cervello, il che mi incoraggia ad andare avanti.
A differenza degli psichiatri, gli psicoterapeuti non hanno mai fatto diagnosi e per questo li ho sempre apprezzati di più. Alcuni di loro hanno tentato di orientarmi verso nuove dimensioni esistenziali attraverso il dialogo, come farebbe un buon sarto che confeziona un vestito su misura facendovelo pagare una fortuna. Ed io avevo proprio bisogno di un vestito adatto ad una vita normale.
Se vi state chiedendo se l'ho trovato, forse non avete letto il blog.
Se vi state chiedendo se l'ho trovato, forse non avete letto il blog.
Comunque sia una volta mi sono invaghito di una psicoterapeuta. Era carina e intelligente e mi ascoltava, cosa che non accadeva così spesso. Forse era solo questione di ottima memoria o magari faceva un ripasso dal suo taccuino qualche minuto prima che io arrivassi nello studio, ma i suoi appropriati accenni ai miei precedenti sproloqui elencati minuziosamente all'inizio di ogni nuova seduta mi facevano sentire ascoltato.
Stava persino attenta a non farsi scoprire quando guardava l'orologio prima di sancire la fine di una terapia. Io alle volte abbassavo gli occhi apposta per lasciarla appropriarsi di quegli spazi infinitesimali di cui necessitava. In altre occasioni invece le tenevo gli occhi così incollati addosso che le sedute diventavano interminabili.
Ricordo ancora con tenerezza quel giorno in cui le chiesi immodestamente se non la affaticasse avere in cura un paziente così provocatorio, pieno di dubbi, domande e riflessioni e soprattutto così intelligente. Lei mi rispose che fortunatamente i suoi pazienti non erano tutti così impegnativi e che per rilassarsi subito dopo di lui, incontrava me.
Mi ha aiutato a reinventarmi, a credere che avevo tutto il diritto di cercare ciò di cui avevo bisogno.
Avevo diritto di scegliere le persone che più mi piacevano, che amassero conoscere, studiare e riflettere, pronte al dialogo, all'ascolto, che avessero dubbi e domande come me. Il che equivaleva, in una città come la mia, ad avere il diritto di restare soli. No, non è vero, sto scherzando. Ho avuto la fortuna o il merito, come lei mi ripeteva sempre, di conoscere ragazze ed amici stupendi. A volte mi chiedo come possano accettare l'amicizia di una persona disturbata come me e mi rallegro del fatto che tra le loro qualità non rientri quella di farsi troppe domande.
Comunque era davvero carina. Carina e piena di accortezze e sensibilità. Non raccoglieva mai il denaro che le lasciavo alla fine della seduta, prima che io me ne fossi andato. A volte lo ritrovavo sulla scrivania la seduta successiva.
Il nostro rapporto rimase sul professionale per un pò, fino ad una notte durante la quale, in preda ad un delirio incontenibile, decisi di chiamarla al telefono. Le dissi che non potevamo più continuare la terapia perchè mi ero invaghito di lei:
-Dottoressa mi ascolti la prego, come potrò essere sincero con lei se percepisco così forte il desiderio di piacerle? Lei è così comprensiva, mi ascolta, è divertente, intelligente e così bella! Perchè non interrompiamo la terapia ed usciamo insieme? Si immagina? La nostra storia d'amore tra intense chiacchierate e cappuccini!
Lei rimase un pò in silenzio all'altro capo del telefono. Potevo sentire i suoi lunghi e profondi respiri. Forse era solo stupita o magari era l'asma, fatto sta che credetti di aver colto psicosomatici segnali emotivi di un qualche turbamento.
Magari a furia di chiacchierate e sguardi ai due capi di una scrivania, lei aveva iniziato a desiderare di trascorrere più tempo con me e nello specifico non con me-paziente ma con me-persona.
Mentre congetturavo carico di inconsistente speranza fui colto da una incontrollabile eccitazione. Mi sorpresi a pensare: dimmi che mi ami, dimmi che mi ami e che anche tu hai deciso di interrompere la terapia, che sono guarito e che tutto quello che vuoi adesso è il nostro amore!
Poi lei rispose:
"Non si preoccupi, il transfert è indizio che la terapia funziona. Ne riparliamo la prossima settimana".